E il maestro ritrovò la sua strada

 

Pare che anche Marco Rossi Doria abbia finalmente trovato la pietra filosofale che - come molti di noi - insegue da decenni: come sconfiggere la selezione e la dispersione scolastica, i mali della scuola e dell’adolescenza, del mondo adulto pasticcione e immaturo, della società dis-educante, un po’ pare persino delle differenze di classe: una bocciatura al momento giusto! Purché meritata!

 

La soluzione non è certo nuova, ma questi sono tempi fatti così. Il ministro Gelmini, con o senza l’avvallo di anni di studi sociologici e di indagini comparate sui processi educativi del secolo scorso, ha lanciato la doppia parola d’ordine: “Cancellare il buonismo del sessantotto” e “Ritornare alla scuola dell’ordine e del merito”. E sulla strada di Damasco non si contano i cavalli stramazzati dalle folgori della conversione. E molti sono i cavalieri che, rialzatisi, con una nuova luce negli occhi, parlano di merito, di serietà, di rigore, di talenti individuali, di regole, di limiti, di condotta.

Spesso tra i più accalorati, come spesso accade nelle conversioni, soprattutto se tardive, ci sono coloro che hanno a lungo servito la dottrina precedente, magari facendosene una loro personale e spesso fallace visione di cui da tempo sentivano il bisogno di redimersi.

 

Non è certamente questo il caso di Marco Rossi Doria; ma fa un po’ impressione leggere queste parole del già “maestro di strada” su la Stampa del 18 luglio 2009:

 

Dietro ogni bocciatura - e ben oltre il numero dei bocciati - spesso non c’è più, come era un tempo, la «impreparazione» in questa o quella parte del famoso «programma» ma la mancata acquisizione di quel minimo sapere che ti rende cittadino; e non c’è solo maleducazione o svogliatezza ma spesso disagi, fragilità e sofferenze veri, che riguardano la crescita equilibrata delle persone e non soltanto la riuscita a scuola.

Però ben venga il «giro di vite» che ha portato all’aumento dei bocciati agli esami di maturità e dei ripetenti per cattiva condotta. Non fa male ripetere un anno, al momento giusto, se non hai appreso neanche ciò di cui oggi non si può fare a meno o se ripeti comportamenti inaccettabili. E i docenti ti bocciano quasi solo in questi casi.

Ma ben venga soprattutto perché da qualche parte si deve pur riprendere a educare. Il mondo adulto italiano ha troppo a lungo fatto finta di proteggere i nostri ragazzi e, in realtà, ha impedito loro di respirare la libertà effettiva, quella che si acquisisce insieme all’esercizio della responsabilità. Infatti - a scuola come in famiglia e ovunque - abbiamo troppe volte rinunciato alla fatica di mantenere le regole, presidiare i limiti, dare onore al merito, mostrare ogni volta le possibili vie di uscita dai normali fallimenti e le ragioni delle frustrazioni, rimarcare la serietà delle prove. Tutte cose indispensabili alla crescita.

 

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Stupiscono queste parole perché nell’elenco di malefatte che precedono tali affermazioni, descrizioni di casi individuali che decreterebbero la bontà di una bocciatura, c’è il repertorio di situazioni e di casi che Rossi Doria e altri ci hanno insegnato da anni a riconoscere come le premesse per la selezione scolastica e sociale, l’inizio di quel percorso in cui una certa scuola (quella che tanto piace al Ministro e a cui il Ministro tanto si addice) si è fatta carico per anni di confermare e sancire una condanna sociale, spesso abbandonando al disagio e alla  marginalità. Come? In un modo semplicissimo: bocciando. Oppure promuovendo senza competenze necessarie, ma comunque, sempre, dopo qualche bocciatura. Basterebbe verificare l’età dei “sufficienti” in uscita dalla scuola media negli anni scorsi.

 

Ma, dice Rossi Doria, oggi dietro le bocciature c’è anche l’incapacità del mondo adulto di educare ed essere di esempio (non ne dubitiamo: basta pensare a chi ci governa); allora tocca alla scuola “riprendere a educare”. E così, accanto alla bocciatura, il rilancio del merito e, altro cavallo di battaglia delle politiche scolastiche di centrodestra, della personalizzazione per la valorizzazione dei talenti individuali.

E perché, allora, non della libertà di scelta educativa delle famiglia, in modo che ai Quartieri Spagnoli di Napoli si possa esprimere una domanda formativa (e una conseguente offerta e magari una Fondazione all'uopo) finalmente diversa (e ben diversamente finanziata) da quella dei Parioli di Roma? Coerente non con il mandato istituzionale di una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, ma con una suola disegnata secondo i desiderata e la condizione di partenza di ciascun gruppo sociale, cultuale, religioso, etnico?

 

Certo Marco Rossi Doria non pensa a questo e ha ragione quando dice che la scuola, purché opportunamente finanziata, deve essere in grado di prendersi cura di tutti e di ciascuno, con le loro differenze, di sanare lacune e disagi sia dei “ricchi” che dei “poveri”; ma fino a ieri pensavamo - insieme?- che la bocciatura (e i voti) in questo percorso non servissero a nulla.

O forse ci eravamo distratti e molti già lo pensavano e non l’avevamo capito.

 

Io resto convinto che le conversioni più o meno recenti cui stiamo assistendo all’interno della cultura educativa del centro-sinistra svelino sempre più drammaticamente la difficoltà a trovare soluzioni nuove e di sinistra ai problemi del nostro tempo e la conseguente necessità di ripiegare su posizioni lievemente più edulcorate della cultura e delle proposte della destra. Magari nella speranza che il fatto di essere più “popolari” possa premiare anche il centrosinistra, così come premia la destra.

 

Io non lo credo. Credo invece nell’esigenza urgente di rifondare una cultura educativa di sinistra, che non ha nulla a che fare con le panzane sul buonismo del sessantotto, ma che ha certamente smarrito la sua strada. C’è un concetto, nell’articolo di Rossi Doria, da cui per esempio sarebbe interessante ripartire, se si accettasse di liberarne l’elaborazione e l’applicazione da tutte le incrostazioni parameritocratiche con cui viene talvolta reso ultimamente quasi irriconoscibile. È il concetto di responsabilità.

 

Proviamo a ripartire dalla responsabilità della scuola, dei docenti, degli allievi di dare il meglio di sé nell’interesse però non solo di ciascuno, ma soprattutto di tutti. Proviamo a ripartire dalla responsabilità adulta di prendersi cura della educazione delle giovani generazioni nel rispetto della loro identità da costruire e non della propria da difendere e perpetuare. Proviamo a ripartire dalla responsabilità degli insegnanti di aver cura di sé e del proprio mestiere attraverso l’ascolto, l’attenzione e la cura dei propri allevi. Proviamo a ripartire dalla responsabilità degli allievi di aver cura di sé attraverso la crescita culturale, l’incremento delle competenze e l’educazione a una cittadinanza consapevole e intenzionale. Proviamo a ripartire dal fatto che i talenti, le condizioni privilegiate e spesso i meriti individuali che ne conseguono non sono crediti  da riscuotere ma responsabilità nei confronti di altri che ne hanno meno.

 

Proviamo a ripartire dalla responsabilità della sinistra di non scimmiottare le idee della destra e di dotarsi di una elaborazione culturale e di una impronta politica capaci di dare un senso al proprio esistere e un contributo originale alla costruzione del futuro.

Tra l’altro attorno alla rielaborazione del concetto di responsabilità (etica, sociale, culturale, politica)  potrebbero misurarsi anche molte componenti della cultura cristiana, marxista, democratica, laica... E magari ritrovare slancio e unità.

 

Mario Ambel, 19 luglio 2009