Caro Ministro, ora non si stupisca:

Chi semina vento raccoglie tempesta!

 

Caro Ministro, diciamo le cose come stanno: lei sta semplicemente raccogliendo ciò che ha seminato, con ostinazione e coerenza, dalla fine di agosto ad oggi. Ovvero da quando  ha aperto un fronte di conflitto con la scuola democratica e progressista, che ritiene politicamente asservita ai cascami e ai detriti ideologici del sessantotto.

Io non so chi o quali ambienti l'abbiano convinta di questa stupidaggine. Certo è che questa convinzione ha fatto presa ed è stata foriera di una serie di interventi che stanno stravolgendo la scuola pubblica, come lei stessa si era ripromessa: "Quarant'anni da cancellare". Ricorderà certamente le sue interviste alla “Padania” e al “Corriere”, con le quali ha scosso le nostre intorpidite attenzioni al ritorno dalle vacanze, promettendoci quelle lacrime amare che sono poi puntualmente arrivate!

Lei sta muovendo un attacco frontale alla scuola di questo paese e alla sua storia e si stupisce che qualcuno le difenda, fino allo stremo delle forze e della disperazione?

Ci muoviamo su un terreno delicato e complesso, che  la maggioranza di governo ha deciso si affrontare con la durezza e l'arroganza delle semplificazioni e delle banalizzazioni proprie delle scelte un po' troppo muscolari e populiste.

Lei è convinta di lavorare per una scuola che premi la serietà, il merito, il ritorno all’ordine e alla disciplina. Molti la stimano e la guardano per questo con ammirazione, affascinati da queste parole d'ordine, anche se, ahimé, odorano più di demagogia che di democrazia. Noi ci opponiamo fermamente a questa visione e a questa pratica delle relazioni educative.

Ma le assicuro che non si tratta di un problema in prima istanza politico, nonostante tutti gli sforzi che lei, molti quotidiani e anche alcuni protagonisti stanno facendo per renderlo tale. È anzitutto un problema culturale e professionale, tuttalpiù etico. Come da mesi ci stiamo inutilmente sforzando in molti di spiegarle.

Per questo è grave il tentativo, suo e di molti  quotidiani,  di isolare nell'angolo della sinistra non più rappresentata in Parlamento la posizione dei molti che si oppongono allo smantellamento della scuola pubblica e ora a un uso selettivo e discriminatorio della valutazione. Così com’è grave la responsabilità di tutti coloro che, da posizioni ritenute più moderate, in questi mesi hanno accondisceso o taciuto, taluni tradendo le idee, le pratiche e le norme che fino a ieri avevano condiviso e propagandato.

Ora sarà comodo accusare il "dieci politico"  (anche la docimologia risente dei processi inflazionistici!) di eredità sessantottesca, ma è la sua frettolosa concezione del "merito" e della "serietà" che costringe le maestre e i maestri di questo paese a ricordarle in modo simbolico le drammatiche realtà di una società strutturalmente e ostinatamente diseguale e produttrice di diseguaglianza. E le assicuro che il merito, quello vero, a scuola, non si riconosce né si incentiva con i “voti”, vecchio cascame – questo sì – di una scuola selettiva e non già, come lei sostiene, strumento di apertura all’Europa! L’Europa usa livelli o punteggi, non voti: possibile che non si trovi in tutto il paese uno straccio di consulente per lei affidabile in grado di spiegarle la differenza? Da mesi in molti le andiamo ripetendo che la valutazione in voti decimali è non solo anacronistica, inutile, dannosa, ma soprattutto simbolicamente portatrice di valori e pratiche discriminatorie e selettive. Ma inutilmente.

Ora lei ha ragione a dire che le leggi democraticamente approvate vanno rispettate, come hanno ragione i dirigenti scolastici che in questi giorni invitano i collegi docenti al rispetto delle norme. Ma quando un Governo e un Parlamento costringono ad applicare leggi che in scienza e coscienza molti ritengono inique e dannose per quegli stessi minori di cui si sono assunti la responsabilità educativa, allora hanno ancor più ragione coloro che escono dal coro dei consensi e si sentono costretti a spiegare, a distinguere, a dissentire, a dichiarare di obbedire per forza o, perfino, ad adottare le soluzioni dell’obiezione di coscienza e della provocazione simbolica all'interno delle regole e delle pratiche istituzionali.

Non siamo noi ad averla messa fin dall'inizio sul piano dello scontro muscolare!

Noi difenderemo la scuola per cui abbiamo studiato, lavorato, vissuto in questi 40 anni fino all’ultima forza residua. Ma lo facciamo in nome di valori che sono in prima istanza etici, culturali e professionali. E che solo in seconda istanza divengono politici, se disattesi e inibiti. Persino proibiti. E che lei e il Parlamento ci stiate impedendo di insegnare e valutare secondo le nostre convinzioni, secondo i dettami della cultura educativa del Novecento e secondo i patti che abbiamo stabilito e sottoscritto con le famiglie è un fatto, non un’opinione!

Se lo vuole credere bene, altrimenti pazienza. La storia e il tempo ci saranno testimoni. È già successo altre volte. L'arroganza spesso ha vinto, esaltata dalla cronaca. Poi è stata condannata dalla storia. Va sempre così e purtroppo inutilmente, perché sappiamo da tempo che - come diceva Montale - "la storia non è magistra di niente che ci riguardi”.

E il nostro Paese, in questi giorni, lo sta amaramente dimostrando.

Per queste ragioni mi auguro che lei voglia abbassare i toni, rinunciare alle rappresaglie amministrative e possa soprattutto affidarsi a qualche consigliere meno accecato di ideologia. E possibilmente con un po’ più di sensibilità umana e di competenza professionale. Ce ne sono, spero bene, anche dalle sue parti: li scovi, li rassicuri e li ascolti.

 

Buon lavoro.

 

Torino, 13 febbraio 2009

Mario Ambel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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