Sembra che a un
certo punto del “curricolo verticale” venga meno l’equilibrio fra le “cose” che
si sanno (o si pensa di sapere) e il controllo delle “parole” per … dirle; non
solo a scuola, del resto, molti presumono di conoscere un’infinità di cose sulle quali
sono con difficoltà in grado di formulare e di esprimere un pensiero dotato di
coerenza tematica, formale e pragmatica.
Quel graduale
equilibrio fra acquisizione progressiva di conoscenze e crescita della competenza
linguistica va costruito con quotidiana fatica; e lo si può fare solo a scuola.
Detto in altri termini, uno degli aspetti didattici “trasversali” di maggior
problematicità e urgenza resta l’uso della lingua e dei linguaggi per cercare,
acquisire, sistemare, memorizzare e riusare conoscenze.
E’ un problema che
coinvolge in modo integrato (e non solo complementare) i processi di
insegnamento/apprendimento in “lingua” e nelle diverse discipline. Infatti, non
basta affiancare progressivamente nuovo sapere a nuove potenzialità
linguistiche: è necessario rinforzarne reciprocamente e contestualmente
l’acquisizione, rinunciando a partire sempre dal sapere già codificato nei
testi (di altri) per scoprire il (piacere del) sapere nel suo farsi (cognitivo,
conoscitivo e linguistico). A questo fine
però, le metodologie didattiche disciplinari e i relativi “contesti”
devono consentire agli allievi (lungo l’intero curricolo verticale) di vivere esperienze
conoscitive mediate dai linguaggi e dotate di senso (soprattutto per loro).
Si possono indicare alcuni ambiti di lavoro, che integrano capacità linguistiche e competenze trasversali e che l’esperienza segnala come i più urgenti da affrontare.
§ L’incremento contestuale del lessico: non è facile trovare tempi e modi opportuni per dedicare la dovuta attenzione ai rapporti fra parole, concetti, significati nei contesti di apprendimento e d’ uso; nelle discipline e nei loro territori di confine, frutto della collaborazione interdisciplinare, così come nei territori di tutti e di nessuno della conversazione quotidiana o della divulgazione mediatica del “sapere” scientifico;
§ L’acquisizione graduale di una sintassi preposizionale idonea a sostenere l’atteggiamento problematico e il pensiero critico: ad alcuni sembra diventato impossibile garantire una sintassi che sia rinnovata e semplificata, ma che sappia egualmente sostenere e alimentare la capacità di porsi domande, di formulare interrogativi e di cercare risposte, di analizzare problemi e verificare soluzioni, ovvero la capacità al contempo linguistica e cognitiva di porsi in atteggiamento problematico, di vivere l’apprendimento come disponibilità a problematizzare, ad accettare e ricercare la complessità e il dubbio, a rifiutare le semplificazioni consolatorie (del pensiero e del linguaggio) e le verità presunte;
§ L’impiego di consapevoli strategie linguistiche finalizzate all’acquisizione, conservazione e riuso delle conoscenze: l’apprendimento della lettura e della scrittura resta ancora eccessivamente confinato nell’ora di italiano; sono sottovalutate e poco frequentate la lettura e la scrittura documentata di testi espositivi, salvo poi stupirsi se all’esame di stato è proprio l’impiego dei materiali testuali (spesso disciplinari) a dare esiti molto poco confortanti…
Ci si potrebbe però chiedere: per affrontare questi problemi è ininfluente il modello culturale, programmatico e organizzativo della scuola? E’ possibile, ad esempio, affrontarli senza lavoro collegiale dei docenti, insegnamento cooperativo e costruttivo, tempi di apprendimento distesi, concezione e organizzazione interdisciplinare del progetto culturale e pedagogico della scuola?
La conquista del sapere (e della lingua), a scuola, non è mai una variabile indipendente.
febbraio-marzo 2003